Un altro articolo sulla cucina del “re dei banchetti”, potremmo dire! Gli studi e la bibliografia riguardanti l’operato del ferrarese, attivo sotto i ducati di Alfonso I ed Ercole II, sono numerosi e assai variegati. Sul versante dell’analisi linguistica, tra l’altro, recentissima è la pubblicazione della prima edizione filologica e studio di Banchetti, compositioni di vivande et apparecchio generale di Veronica Ricotta per i tipi di Leo S. Olschki Editore. La notorietà di Messi Sbugo, ovviamente, va ascritta all’immensa fortuna riscossa dal suo trattato durante tutto il corso del magnificente Cinquecento, primo testo in assoluto a rendicontare lo svolgimento di quelle “opere d’arte totali” che erano i banchetti da lui organizzati, 14 per l’esattezza, succedutisi in un lasso di tempo che intercorse fra il 1524 ed il 1548.
L’opera di Messi Sbugo, concepita in un ambiente culturale fortemente cosmopolita, raffinato ed inclusivo come la corte estense, fu la capostipite della gloriosa epopea dei trattati di cucina rinascimentali. Decisamente meno nota al comune lettore è invece la sua attività specifica di economo-dispensiere della corte, di provveditore ducale (tesoriere). Prima della tragica Devoluzione del 1598 e la trionfale entrata in città del legato Aldobrandini che sancirono il ritorno di Ferrara sotto la giurisdizione papale, la corte estense venne presa a modello in tutta Italia. E certamente complesse dovevano risultare le implicazioni di ordine programmatico-gestionale nel momento in cui si redigevano bilanci e preventivi da inframmezzare ai più concreti interventi operativi. La corte era sostanzialmente una enorme struttura super parcellizzata nelle sue mille contestualità e complicata da gestire, soltanto una mente brillante come Messi Sbugo poteva essere all’altezza della situazione. L’analisi dei suoi due compendi di previsione di spesa, appunto, fa luce su questa complessa attività amministrativa e sulla sua assoluta scrupolosità professionale. Il primo, redatto nel 1539 (per il 1540), anno della tragica carestia, è conservato presso la Biblioteca Estense di Modena. L’altro del 1547 (per il 1548), ben più pregevole a livello storiografico, è allocato presso l’Archivio di Stato della stessa città.
Il padre di Cristoforo, giunto dalle Fiandre molti anni prima, ebbe prolifici contatti con i d’Este e venne assunto come interprete da Alfonso I. Il duca era infatti in contatto con svariati Stati europei per i suoi consistenti traffici d’armi. Messi Sbugo nacque e crebbe a Ferrara in un ambiente particolarmente agiato, convolò a nozze con una nobile cittadina, Agnese di Giovanni Giocoli. Tramite alcune sorelle della moglie fu imparentato ad illustri famiglie del luogo. Iniziò l’attività nel 1515 con Alfonso I, quell’anno recatosi in trasferta a Milano per incontrare Francesco I re di Francia, successivamente presente a Parigi. Nel 1519 Cristoforo venne nominato sotto-spenditore ed accompagnò il duca in altre missioni diplomatiche: nel 1521 si recò a Venezia per rendere omaggio al neoeletto doge Antonio Grimani, mentre due anni più tardi lo troviamo nuovamente al fianco di Alfonso in un interminabile viaggio politico a Venezia e in Schiavonia. Nella Serenissima Cristoforo ritornò nel 1524, mentre nell’ottobre del 1529 fu ancora al seguito del duca estense, quest’ultimo deciso ad incontrare l’imperatore Carlo V ai confini dello Stato poco prima di riceverlo in pompa magna a Reggio e a Modena. Al volgere degli anni Trenta del 1500 Messi Sbugo è a Bologna per ingraziarsi l’Asburgo: Carlo V lo nominerà infatti Conte palatino tre anni dopo, il 10 gennaio 1533. Nel 1534 Alfonso I morì. Gli successe il figlio Ercole II che diventò quindi il quarto duca di Ferrara, Modena e Reggio. Cristoforo, ancora più attivo alla corte estense, accompagnò il neo eletto nel viaggio romano e napoletano del 1535, garantendosi nuovamente le sue simpatie ed una posizione di assoluto rilievo a corte, tanto da essere designato provveditore ducale nel 1539, responsabile degli approvvigionamenti e delle retribuzioni del personale.
I quadri riassuntivi contenuti nei due compendi danno piena contezza della complessa organizzazione della corte estense e dello strabiliante numero di persone, le più varie, che vi ruotavano attorno con specifiche mansioni e cariche. Nel documento del 1547 Messi Sbugo ne schematizza addirittura 25: dalla Tavola del duca a Signori e gentilhomini spisati da Sua Eccellenza, da Factore, consiglieri, oratori, secretari, cancelieri e negociatori a Capelani e musichi. Particolarmente interessanti le voci del sesto quadro riguardante gli Oficiali de casa, dove si dettagliano le spettanze in denaro, oggetti e cibi di alcune figure apicali come gli scalchi, i trincianti, gli spenditori e gli scudieri. Il contesto generale entro il quale presero forma questi due documenti è piuttosto particolare. Gli Estensi, come sappiamo, di fatto non distinguevano fra lo spazio della propria casa e quello dello Stato, rendendo così ondivaghe, se non osmotiche, le varie competenze inerenti la sfera privata e quella pubblica. Quest’ultima era considerata alla stregua di un bene patrimoniale ed il governo della città un’attività da gestire in totale autonomia senza rendere conto a niente e a nessuno, ma anzi adattando il marchingegno finanziario e burocratico cortigiano all’ambito dell’apparato statale. E quindi, nei due testi presi in esame, è oggettivamente complicato analizzare i dati discriminando tra bilancio pubblico e bilancio privato.
Il primo testo del 1539, gravemente mutilo e sondabile unicamente nelle carte 4, 5, 8-23 e 30-33 rispetto alla 132 originarie, è sicuramente meno completo da un punto di vista formale e contenutistico, ma ha sicuramente la pretesa di presentarsi come un documento più ampio. La presenza dell’indice iniziale, la Tavola del Libro, sopperisce in parte alla conseguente difficoltà di lettura. In questo codice troviamo indicazioni non solo relative alla previsionalità delle uscite per l’anno successivo, ma anche informazioni di ordine storico, gastronomico e comportamentale. Nei sommari Messi Sbugo esamina le spese future per il duca e per i suoi commensali, dettaglia stipendi e cibarie di gentiluomini, ufficiali di casa, fattori, cantori e cortigiani in generale, quindi si concentra sulle provviste delle spezierie, sul costo dei cavalli delle scuderie ducali, prende in considerazione i lavori di addetti alle navi, dei falconieri, dei cacciatori e così via. Al termine di questa parte il compendio del 1539 si focalizza sulle somme generali delle spese e delle entrate cortigiane per poi proseguire con varie indicazioni inerenti la perfetta organizzazione di banchetti “fuoriporta”, da allestire durante i viaggi del duca. Tra il materiale perduto è da segnalare la carta intitolata Ammaestramento per fare infinitissime vivande, piuttosto copiosa nei contenuti (20 cc.) e dallo stesso autore particolarmente amata.
Dopo due anni di acciacchi nel 1547 la salute di Messi Sbugo deteriorò velocemente. Cristoforo si volle quindi impegnare in maniera meticolosa nella stesura del suo ultimo registro consuntivo. Il testo si struttura in 15 carte ed è più che un semplice manuale contabile. Qui sono presenti alcune pregevoli tavole realizzate a penna e acquerello, attribuite a Girolamo da Carpi, con le quali l’autore volle omaggiare la magnificenza del duca. Il soggetto ovviamente verte sulle fatiche del semidio Ercole, alcune raffigurazioni sono molto simili alle statuette esposte sui deschi durante il sontuoso banchetto estense del gennaio 1529 (Ercole e Caco; Ercole e il leone; Ercole e il toro; Ercole e Cerbero). Messi Sbugo pose particolare attenzione al lato estetico di questo testo con l’evidente intento di lasciare ai posteri un’opera di rilevante valore, unica nel suo genere, assolutamente conscio della centralità e della valenza del suo operato presso Ercole II. Ciò si evince dal frontespizio del compendio: nel recto del foglio è presente un’incisione raffigurante Cristoforo (la stessa che troviamo nella pubblicazione di Banchetti del 1549), mentre nel verso troviamo il suo emblema personale, ovvero una tartaruga con un cartiglio arrecante il celebre aforisma Omnia mea mecum porto (porto con me tutti i miei averi) di ciceroniana memoria. Come a dire “devo i miei meriti unicamente alla mia sapienza e li glorifico per l’eternità”.
Il 14 ottobre 1548 Messi Sbugo fece testamento rogato presso il notaio Giovanni Palmieri. Il 10 novembre dello stesso anno morì. Si fece seppellire con l’abito dell’ordine di San Francesco nella chiesa di Sant’Antonio in Polesine a Ferrara. La lapide sepolcrale, precedentemente sita a destra dell’altare maggiore della chiesa, oggi è allocata esternamente e reca la seguente scritta: Christophoro Messi Sbugo Comiti Palatino Illustrissimi Ducis Ferrariae Provisori Vigilantissimo Ac Fidelissimo Maesti Haeredes Poni Curaverunt Anno Domini MDXXXXVIII. Banchetti ed evidentemente anche il Libro novo spalancarono le porte alla gloriosa epopea della trattatistica e della cucina rinascimentali. Molto era ancora da scrivere...