In epoca medievale i ricettari europei erano anonimi, presumibilmente scritti da cuochi che operavano nelle corti oppure da medici che trattavano di sana alimentazione per contenere gli eccessi dei loro facoltosi pazienti. Le ricette, trasferite di manoscritto in manoscritto subirono variazioni e modifiche, seguendo l’interpretazione del fautore secondo uso e luogo. Fino a quando, negli anni Sessanta del XV secolo, comparve sulla scena gastronomica europea Martino De’ Rossi che tolse ogni dubbio dichiarando la paternità del suo Libro de Arte coquinaria: “Libro de cosina composto et ordinato per lo egregio homo Martino de’ Rossi espertissimo in questa arte e homo legerai prudentissimo”.
Martino nacque nella Val di Blenio, ora in Svizzera, ma nel XV secolo faceva parte del comprensorio della diocesi di Milano per cui egli stesso si dichiara “comasco”. Prestò servizio alla corte di illustri personaggi dell’epoca e viaggiò al loro seguito. Fu cuoco “secreto” (personale) del papa Paolo II e del suo successore Sisto IV a Roma, in una corte, per così dire, internazionale ricca di influenze europee, dove conobbe Bartolomeo Sacchi detto il Platina, umanista e letterato romano che scrisse il De Honesta voluptate et valetudine prendendo come esempio di cibo buono per la salute le ricette di Martino. “E quale cuoco.. può essere paragonato al mio Martino dal quale ho imparato la maggior parte delle cose che vado scrivendo?” E nulla vieta di pensare che i due avessero collaborato in qualche modo forse anche alla stesura del ricettario del Libro. Alla morte del papa, il comasco passò al servizio di Gian Giacomo Trivulzio, un nobile condottiero che seguì a Milano, dagli Sforza, e poi a Napoli.
Martino è il primo che appone il proprio nome su un ricettario e delinea un’evoluzione vera e propria della gastronomia italiana ed europea. Le sue scelte e il suo approccio con la cucina influenzeranno palati influenti e detteranno un nuovo modo di concepire il cibo che vedrà la preparazione di ricette provenienti da ogni parte d’Italia (alla Lombardesca, alla siciliana, alla zenovese, ecc.), creando una sorta di mappa del gusto dell’epoca.
Un esempio è la ricetta delle rape “alla lombardesca”
Per fare minestra di rape alla lombardesca puliscile molto bene e tagliale in pezzi grossi e cuocile bene in brodo grasso di carne poi passale con un cucchiaio bucato grande o se vuoi schiacciale, poi metti a bollire in brodo grasso con un po’ di carne salata, pepe e zafferano.
Nei manoscritti precedenti le ricette erano alla rinfusa, mancavano le dosi e non si menzionavano tempi di cottura e nemmeno la tipologia degli ingredienti o il metodo migliore per cucinarli. Molto probabilmente erano indirizzate a degli addetti ai lavori che già si intendevano bene di cucina e che non avevano bisogno di imparare ma di replicare ricette già consolidate.
Martino organizza il suo Libro, a differenza di tutti i precedenti a noi pervenuti, per argomento, quasi una forma di catalogazione, fornendo informazioni sugli ingredienti e su come cucinarli, ad esempio all’inizio del volume propone una lista di carni “per dare a intendere quale carne merita andare arrosto et quale allesso”, inoltre dà chiare indicazioni sui tempi di cottura secondo le possibilità di un’epoca senza orologi scandendo il minutaggio attraverso le preghiere di uno o più “Pater Noster".
Una serie di suggerimenti, insomma, dei consigli professionali che partono da alcune regole base e sono rivolti, forse, a chi si cimentava nell’arte culinaria, acquistando così un carattere didattico.
Un metodo di insegnamento dove mette in primo piano la “discretione”, il discernimento, la scelta personale del cuoco nel dosaggio degli ingredienti o nella cottura delle pietanze “secondo il commune gusto” “secundo che ti piace”, oppure “secondo il bisogno” che equivale al nostro quanto basta. Molte delle sue ricette sono arrivate anche sulle nostre tavole, perché Maestro Martino sapeva destreggiarsi tra la cucina di altissimo livello e quella di tutti i giorni come è ben dimostrato da alcuni suoi piatti.
Le frittelle de pome
Per fare frittelle di mele prepara le mele tagliate in fette sottili, tolti i semi dal centro friggi un po’ le dette fette nello strutto o nell’olio e mettile ad asciugare su un tagliere, quindi una volta asciutte le passerai su un composto di farina stemperata con le uova, zucchero e cannella e le friggerai una seconda volta in buon grasso e in tempo di quaresima in olio.
La frittata
Per fare una bella frittata sbatterai le uova molto bene insieme con un po’ di latte per renderle più morbide e un po’ di formaggio grattato e condiscile con burro buono affinchè sia più grassa e per farla più buona non bisogna girarla né cuocerla troppo.
Zabaglione
Per fare un buon zabaione. Per fare una tazza prendi il rosso di 4 uova e dello zuccheri e cannella a sufficienza e del buon vino amabile e se fosse troppo fumoso aggiungi acqua o brodo magro, poi fallo cuocere come si cuoce un brodino sempre mescolando con il cucchiaio e quando si rapprende togli lo zabaione dal fuoco poi mettilo in una tazza e questo si prende alla sera quando si va a dormire e conforta il cervello
Le ricette sono state tratte da: il Libro de Cosina di Maestro Martino de’ Rossi della Biblioteca civica di Riva del Garda.
Il simposio dei 12 ghiotti, nato in un noto ristorante senese, come leggenda vuole, si prefigge lo scopo di celebrare la storia della cucina, non solo attraverso ricette, curiosità e aneddoti ma anche attraverso 12 incontri all’anno in cui si ritrovano discettando su vari argomenti.
Una delle regole del simposio è che nulla andrà sprecato.