E mentre eravamo al dolce Ottavia Lapilli, la terza ghiotta, disse: “non penso riuscirò a raccontare tutta la storia dello zucchero in pochi minuti, ma cercherò di riassumere i momenti salienti di questo passaggio epocale. Avviso, anzi, che probabilmente farò anche il sequel”.
Cominciamo allora:
La ricerca di zuccheri è insita nella nostra natura, probabilmente perché vengono trasformati in energia immediata, per quanto di breve durata, e infondono una sensazione di felice soddisfazione. Gli alimenti zuccherini ci coccolano e ci gratificano ricompensandoci dalle nostre fatiche e… non ditemi che non è vero.
Per dolcificare i cibi si utilizzava il miele. Semplice, pronto al consumo e senza necessità di particolari trattamenti.
All’epoca romana ben se ne conosceva l’uso mescolato al vino e per insaporire le pietanze, ma già era noto un altro tipo di succo dolce che si coagulava naturalmente: Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia, Libro 36, racconta: “… anche lo zucchero produce l’Arabia, ma più pregiato l’India, è un miele raccolto dalle canne, bianco come la gomma, che si rompe con i denti, il più grande (granello) ha la dimensione di una nocciola e si usa solo per la medicina”. Il sakkharon figurava nell’enciclopedia (De Materia Medica) del greco Dioscoride di Anazarbo vissuto nella Roma di Nerone, conosciuta dal VI secolo per mezzo di una traduzione latina “Si estrae un altro genere (di miele) che viene chiamato saccaros. Si tratta di una specie di miele spesso, che si trova nei giunchi in India ed in Arabia. Si tratta di un prodotto fragile e quando lo si mette nella bocca, somigliante al sale. Ma esso rilassa il ventre e lo stomaco; disciolto e bevuto, esso allevia la vescica ed i reni”
La canna proveniva dall’India e dalla Cina che, non conoscendo la tecnica di raffinazione, ne consumavano il succo rappreso sul fuoco che si trasformava in una specie di colla dolce.
Furono gli Arabi, nel VI secolo, che trovarono un metodo per ottenere da quella colla zuccherina un’emulsione che facevano cristallizzare con l’aggiunta di calce spenta (idrossido di calcio) e che poi utilizzavano come rimedio farmaceutico.
Le piantagioni di canna da zucchero si diffusero in Sicilia e in Spagna a seguito della dominazione araba. Fino al XV secolo un centro importante della coltivazione e della raffinazione dello zucchero fu l’isola di Cipro che aveva stretti rapporti commerciali con Venezia la quale poi lo riesportava in tutta Europa. Per affrancarsi dal monopolio veneziano Spagna e Portogallo, all’inizio del XV secolo, trasferirono la coltivazione nei loro possedimenti africani e sulle isole dell’Atlantico. La diffusione si ampliò ulteriormente quando nel suo secondo viaggio Colombo portò la canna in America dove, nel corso del XVI e del XVII secolo si espanse in America Centrale e meridionale.
Si può dire che lo zucchero fino al XIX secolo, quando verrà sostituita la canna da zucchero con la barbabietola, venne considerato come qualcosa che pochi potevano permettersi, al pari di una spezia. Era così pregiato che veniva offerto in dono. Riportano le cronache che Venezia inviasse un presente al Sultano d’Egitto, gran produttore lui stesso di zucchero, in cui fra spezie pregiate, porcellane, seta e medicamenti miracolosi, facevano capolino alcuni pani di zucchero candito.
Paolo Antonio Barbieri, spezieria, 1637, Spoleto, Museo Civico
Era impiegato come medicamento per la preparazione di sciroppi espettoranti e di conserve medicinali fatte solitamente con fiori appassiti pestati assieme allo zucchero e all’acqua, poca, che amalgamava il tutto, o con erbe officinali quali sambuco, rosmarino, borragine, salvia. Lo zucchero era venduto dagli spezieri che lo smerciavano in polvere - quello meno pregiato - o in pani ed era chiamato caphetino, piramidale o secondo provenienza (zucchero di Damasco, di Palermo, di Babilonia) e si occupavano della preparazione degli alimenti “confettati” o canditi. Lo zucchero infatti era anche un ottimo conservante e manteneva intatto l’ingrediente. Ecco allora una profusione di curiandoli confeti, pistachio confeto, mandorle confetade, fenochio confeto e gli arnesi del mestiere stampi da tagiar naranzini, caldiera da confeti, forme da zucchero ecc. (dall’inventario della bottega di Alberto Zanchi, spezier da confetture all’insegna dei 2 Santi e inventario della bottega di Antonio Picioli, spezier de grosso all’insegna del Cedro Dorà, ASV, Giudici di Petizion, inventari). Ovviamente tutti questi rimedi erano indirizzati solo a chi poteva permetterselo.
Nel XVI secolo lo zucchero era considerato ancora un bene di lusso e appariva copiosamente sulla tavola della nobiltà. In cucina veniva usato dappertutto sulla carne, sui fritti, sul pesce, sugli arrosti e per dimostrare l’opulenza del proprio signore, i cuochi ne facevano sorprendenti sculture. E, naturalmente, più l’ospite era importante, più il signore richiedeva ai suoi cuochi e ai suoi spezieri mirabili invenzioni.
Palma il giovane, il ricevimento di Enrico III a Ca’ Foscari
Numerose sono le cronache che riportano la celebre visita di Enrico III di Valois a Venezia nel 1574 e la stupefacente accoglienza che ebbe per gli otto giorni del suo soggiorno. Si racconta che dopo aver fatto la visita di rito all’Arsenale, dove Venezia ostentò la propria potenza militare, gli fu offerta una colazione “tutta di zucchero e confetture”, ma lo stupore, la meraviglia si nascondeva proprio nell’aggettivo “tutta”. Infatti quando Enrico prese un tovagliolino per pulirsi si rese conto che anch’esso era commestibile: “tovaglia e salviette e posate tutto era parimenti di zucchero e così simili al vero da ingannare chicchessia”. Lo speziere autore dei mirabili banchetti veneziani offerti al re era Nicolò della Cavalliera all’insegna della Pigna che preparò diversi tipi di “manifatture di zuccaro” tra cui statue “alte quasi un braccio” di cui una raffigurante una donna in abiti regali tra due tigri e “due navi perfettissimamente finite con gli alberi, le vele, i cordami e le artiglierie”. A leggerlo non vi fa venire voglia di un dolcetto? Concluse Ottavia. E ordinammo panna e meringhe per 12.
I 12 ghiotti ringraziano Domenica Viola Carini Venturini e il suo libro Zucchero e Golosessi.
Il simposio dei 12 ghiotti, nato in un noto ristorante senese, come da manuale, si prefigge lo scopo di celebrare la storia della cucina, non solo attraverso ricette, curiosità e aneddoti ma anche attraverso 12 pranzi all’anno in cui si ritrovano discettando su vari argomenti. Una delle regole del simposio è che nulla andrà sprecato.